Romano Mezzetti - Relazione e Video
Docente scolastico, psicologo, tecnico sportivo
Un buongiorno e un saluto a tutti con una preinformazione: nel presentarvi le cose sulle quali mi accingo ad esporvi il mio pensiero, ho ritenuto utile predisporre e proiettare anche un filmato, diviso in due parti, chiedendovi
di prestarvi attenzione con l’augurio che possa darvi un input di buona attivazione energetica.
Vorrei iniziare il mio intervento cercando di dare una risposta ad un interrogativo avanzato dalla professoressa Frasca, su quali sono le abilità e quali le competenze, rifacendomi ad un esempio del nostro professor Pellegrini,
esperto in particolare, nel suo lunghissimo percorso formativo e professionale nel settore della pallacanestro, compreso il minibasket.
Come possiamo differenziare una possibile capacità di esprimere le abilità motorie sportive e quindi di manifestare delle conoscenze nell’ambito di questa disciplina? Se andiamo a considerare per esempio – visto che in un certo senso oggi devo aprire un po’ anche il discorso sulla didattica – il passaggio della palla da un giocatore a un compagno, oppure la possibilità di saper fare un tiro a canestro da fermo o in sospensione, oppure con un’entrata in terzo tempo, cercando di entrare nella difesa, per andare a tirare sotto canestro; queste sono abilità, abilità motorie, abilità sportive. Dov’è che vengono fuori le competenze? Vengono fuori quando si raggiunge – parliamo di metalinguaggio, parliamo di metacognizione – un livello anche di astrazione superiore e quindi si supera in un certo senso la capacità di sviluppare le abilità, ma si inizia a interiorizzare, a trovare un’acquisizione, una capacità di gestire, di governare le abilità con una capacità mentale superiore.
Quindi, in un’azione di gioco io passo la palla al compagno, tiro a canestro nella posizione in cui sono, oppure decido di penetrare la difesa e andare a tirare sotto canestro per avere magari più facilità nel tiro più ravvicinato ed è lì che viene fuori la competenza: in una frazione di secondo, in un attimo, in un momento di azione di gioco, un giocatore ma anche un bambino che sta giocando e si sta divertendo a giocare, per esempio al minibasket, può scegliere, deve scegliere una soluzione ad una situazione comune, normalissima di gioco sportivo o presportivo, come vogliamo definirlo.
E su questo, professore Mariani, non so se posso agganciarmi a tutti i suoi approfondimenti, a tutti i suoi saperi per far riferimento sempre ai nostri grandi padri, come Edgar Morin, che il professore Mariani piacevolmente e in maniera molto ben ponderata, ci ricordava.
Ma prima di entrare nelle molte cose che penso di dovervi dire, mi fa piacere esprimere alcuni saluti particolarmente sentiti: innanzitutto al mio “primo”
maestro, il professor Fabrizio Pellegrini che ho conosciuto nei “mitici” anni Ottanta seguendo il Corso di formazione “Corpo, Movimento, Formazione”,
integrando i miei studi presso l’ISEF Statale di Roma Un ringraziamento desidero rivolgere anche al Presidente dell’AONI, Checcoli e al professor Carabelli per una effettiva coincidenza di concezioni che considero molto importanti, rispetto alle questioni che stiamo trattando e spero siano significative in questo momento storico dello sport e dell’educazione fisica.
Quando io frequentavo l’ISEF scrivevo i miei primi articolini, dove parlavo dell’importanza degli insegnanti di educazione fisica nella scuola elementare.
Stiamo ancora in attesa che arrivi: forse il prossimo anno arriva, forse dalla seconda elementare e forse un’ora a settimana. Si partirà con questo step, con questa base per il prossimo anno. Ed è un augurio per tutti. In questo senso il mio intervento vuole essere un punto di partenza utile a voi in particolare, tenendo conto che sono circa trent’anni che
io lavoro con i bambini. Partiamo quindi dalla realtà, da ciò che si può e si deve cercare di fare, in una visione più pedagogica, all’inizio del nostro percorso professionale.
Il video, di cui mentre io parlo potete veder scorrere le immagini poiché aiutano anche le cose che io mi propongo di dirvi, avendone compiuto una selezione insieme al professor Pellegrini, e in collaborazione con il professor Carabelli, abbiamo voluto definire il titolo del video “Una lezione di Educazione Fisica”.
Vi voglio domandare, intanto, se qualcuno di voi abbia parlato del futuro nel prossimo anno, o nei prossimi anni, delle nuove proposte di legge annunciate.
In quest’anno qualcuno di voi ha fatto l’esperienza di tutor, di tutor sportivo nella scuola primaria? Rispondete per alzata di mano. Uno solo! Siete tutti studenti? C’è qualche insegnante? Nel progetto sport di classe nella scuola primaria, non ho dato i riferimenti perché in questo documento abbiamo appunto un’esemplificazione operativa.
La classe è una terza, quindi a metà nel percorso formativo della maestra Bernadette Filippone, che è anche insegnante di educazione fisica ed è stata
in quest’anno scolastico appena conclusoTutor nel Progetto “Sport di Classe” nel nostro Istituto Comprensivo di via Monte Zebio a Roma. Un sentito ringraziamento anche alla nostra Dirigente Scolastica Brunella Maiolini, sempre presente e disponibile nel sostenere i Progetti, come questo, nei diversi ambiti educativi e culturali.
Scorrendo le immagini del filmato vi accorgerete spesso della mia presenza con i bambini e avremo modo di verificare con il professor Pellegrini e di valutare
le mie scelte metodologiche, il mio partecipare all’azione insieme ai bambini.
Rispondo alla domanda dello studente. Hai colto pienamente il senso della mia frase, di questo momento. Infatti ho tirato in causa anche il professor Pellegrini per questo. Ed è da valutare certamente poiché sono scelte metodologiche e posso rispondere anche in termini operativi contestuali. Mettetevi nei miei panni di docente che decide di intraprendere un percorso.
Abbiamo fatto tre incontri per queste riprese nella classe terza D, che è la classe della maestra Bernadette, collega docente in Scienze motorie e quindi con doppio ruolo sia di maestra di scuola primaria, che di professoressa di educazione fisica, che adesso vedrete anche all’opera nel filmato.
In tre incontri avevo l’esigenza di predisporre una serie di attività in alternanza anche con la maestra Bernadette per offrirvi delle proposte, considerando gli obiettivi didattici e quindi la mia figura professionale, la mia scelta professionale.
Come ricordava la professoressa Frasca, ho preso in ultimo anche una terza laurea per fare il maestro. Quindi ISEF, Scienze motorie e una laurea in Psicologia, perché in quel periodo mi ero appassionato alla psicologia dello sport. Poi, iniziando a lavorare con i bambini in vari ambiti – senza aprire il capitolo della mia storia – mi sono appassionato e da trent’anni non ho più abbandonato i bambini, nel senso che questo è il mio status professionale.
Ho iniziato a lavorare come operatore esterno nella scuola dell’infanzia, quindi con i bambini dai 3 ai 6 anni. Cerco di darvi questa risposta perché ho delle competenze in merito e anche delle responsabilità. Perché un conto è saper insegnare, saper far muovere i bambini di terza elementare nello specifico e un conto è far muovere i bambini di 3, 4 e 5 anni: è un contesto diverso. Avverto d’avere un taglio professionale specifico e delle competenze, quindi ho anche delle ansie sottostanti a tutto questo e sto esprimendo il mio modo di pormi in un contesto “nuovo”, utilizzando al meglio una notevole esperienza anche nella scuola primaria. Avverto il bisogno di lavorare in questo caso sugli schemi motori di base, su specifici apprendimenti, quali la capovolta, la ruota, ecc. per far vedere agli studenti quale prodotto offro. E anche questo mi ha dato un certo carico d’ansia e mi condiziona nelle scelte metodologiche.
Vedremo successivamente quali possono essere le implicazioni metodologiche e didattiche rispetto ad un certo tipo di intervento e quindi dello stile di insegnamento, presenza più o meno diretta e integrata nelle attività con i bambini, più o meno distaccata, più o meno inserita.
Scusate se mi sovrappongo e ne parleremo dopo. Anche il tecnico che ha creato questo montaggio mi ha detto “Ma perché non metti della musica sottofondo, perché non creare situazioni più piacevoli per chi fruisce di questo lavoro”, in questo caso noi, in questo contesto. Voglio rispondere con una domanda spontanea: “Cosa c’è di meglio secondo voi: sentire la confusione e sentire poco le mie parole?”. Scusatemi se mi sono sovrapposto, ma anche in questo c’è forse un livello d’ansia che non mi permette di gestire al meglio la situazione, ed io preferisco la situazione ecologica, naturale, piuttosto che darvi qualcosa che non appartiene a noi. Il rimbombo è naturale, lavorare con dei bambini che in palestra fanno chiasso è naturale, è difficile, ma è naturale, ve lo voglio sottolineare poiché questo è
molto importante.
David Grassi, studente dell’Università S. Raffaele di Roma
Le proposte motorie comportano attività che i praticanti devono svolgere e che contemplano dei rischi. Questi devono essere valutati dall’educatore. Tuttavia sta prendendo piede una eccessiva enfasi e preoccupazione, con conseguente riduzione degli stimoli ed eccesso di protezione dei ragazzi, con diminuzione delle opportunità di apprendimento.
Accennavo alle responsabilità. Siamo abituati troppo spesso, a livello televisivo o in qualsiasi ambito, alla sottrazione di responsabilità, quindi credo sia interessante come lei ha notato, che nello svolgere determinati esercizi è naturale che ci si prenda delle responsabilità. Però, tutto sommato, in alcuni casi non dovrebbe trattarsi di una scelta. È una scelta legata alle competenze e a quello che ognuno si sente di fare, però fa parte del ruolo, cioè un insegnante, a qualsiasi disciplina ci stiamo riferendo, ha la necessità assoluta di non sottrarsi ad assumersi delle responsabilità. Volevo far notare questo e do per scontato che siate d’accordo con me.
Arturo D’Orsogna e Paolo D’Amico, studenti dell’Università di Teramo, pongono una domanda coincidente e relativa al loro compito: “È possibile esercitare la tecnica dell’insegnamento solo in palestra o anche in altri luoghi?”. Ad esempio, la madre dello studente di Teramo insegna educazione fisica alle scuole medie e la sente spesso affermare che ha difficoltà nello svolgere il proprio lavoro perché le mancano i mezzi, non ha una palestra, non ci sono attrezzi. Come e cosa si può fare in questa realtà? Suppongo che non sia facile lavorare con i bambini in una palestra se non si hanno mezzi e strumenti a disposizione. Cosa ne pensa?
Romano Mezzetti
Spesso mi hanno criticato e mi criticano per questo, ma non sono io la persona competente per rispondere in questo momento. Nel senso che accolgo l’affermazione che denuncia un problema reale, cioè una situazione di problem-solving, ma non ritengo questo il momento rispetto al tipo di
risposta che potrei anche dare.
In ogni modo rileggiamo insieme l’ultima slide che appare nel video (ed è qui riproposta): “Accoglienza nel contesto palestra, ricerca espressiva e creativa, poche correzioni, coinvolgimento di tutti, flessibilità nella difformità delle risposte motorie”.
E questa era la prima parte della nostra lezione, come esemplificazione operativa.
Un’altra questione riguarda il fatto che la maestra facesse cadere il cerchio e i bambini facessero la stessa cosa, nel senso, penso, che fosse abbastanza semplice come ha fatto lei nella prima parte, farlo di persona, così da poter rendere più partecipi i propri alunni. Per quanto riguarda l’osservazione del collega sulla palestra, penso che l’ambiente possa essere un fattore limitante, ma anche un fattore di forza, cioè una caratteristica che può darci forza. Nel merito, c’è un progetto che stiamo portando avanti all’Aquila, che si chiama Out-traning, che riguarda proprio questo tipo di educazione fisica, al di fuori di ambienti in cui siamo abituati a lavorare.
Infine, il tema della partecipazione e del coinvolgimento dell’alunno; penso che se riusciamo ad uscire fuori dagli schemi e vedere un’educazione che va al di là di quello che siamo abituati a pensare, possiamo sperare in un miglioramento.
Avviandomi a concludere il mio contributo discorsivo e filmato a questa XXVI Sessione Olimpica dell’AONI, desidero rivolgere un grazie a tutti coloro che mi hanno ascoltato e sono anche intervenuti. Un grazie per l’ultimo l’intervento e vorrei dare solo una risposta, per quanto riguarda la considerazione sul cerchio. C’è una particolarità che forse non viene percepita nell’impatto generale e in questo contesto. La particolarità è che il cerchio veniva gestito dalla maestra di classe.
Se avete notato nella slide di riferimento, l’attività si chiamava cerchio magico e c’era la scritta “stimolo = movimento del cerchio, risposta = il movimento libero dei bambini”; in questo tipo di attività emerge il principio dell’obliquità come risposta in cui la prestazione può essere difforme rispetto alla proposta data.
Non c’è stata difformità, questo dà sicuramente merito e credito al lavoro svolto dalla maestra Bernadette insieme ai suoi allievi all’interno della disciplina di Educazione Fisica. C’è da considerare che la maestra di classe aveva tre anni di percorso culliculare.
I bambini danno, magari, delle risposte anche uniformi, ma nella proposta didattica, in questo caso, c’è la possibilità di rispondere con un movimento che può essere “il cerchio che inizia a scendere e magari un bambino può correre in questa maniera, un altro bambino può mettersi a fare un movimento del tutto diverso”, e questo, in questo contesto didattico, è ben accetto.
Ugo Ristori consegna il piatto ricordo dell’AONI al professor Mezzetti.
Quindi l’obliquità. Pensiamo al classico esempio del principio dell’obliquità che penso conosciate tutti, ma lo ricordo un attimo “ognuno di noi può esprimersi secondo le proprie caratteristiche, capacità, padronanza dell’abilità”: è tutto quello che ci possiamo dire rispetto a questo aspetto.
Pensiamo all’asticella del salto in alto; da un lato l’asticella è ad una certa altezza, dall’altra può essere in forma obliqua con altezza superiore; sta al bambino scegliere e capire quanto è importante saltare lì dove lui può allenare le sue capacità, il suo raggiungimento di determinate abilità motorie, quindi viste le proprie difficoltà: sono più piccolino, sono più basso, sono più giovane, magari è preferibile che io vada a saltare lì dove l’asticella è bassa.
Se c’è maggiore prestazione, maggiore esperienza, e quant’altro, allora è bene che io mi vada ad allenare nella parte più alta, ma ognuno, tutti e ciascuno, in questo caso del gruppo classe, hanno la possibilità di fare esperienza, di allenarsi; c’è la possibilità di esprimersi: musica, cerchio, coordinazione in un contesto dove si accetta qualsiasi tipo di risposta motoria ed è un discorso di ricerca con l’oggetto, in questo caso un cerchio.
(nota di redazione) Seppure il Prof. Mezzetti abbia svolto la sua relazione in due parti (mattino e pomeriggio) ci è apparso utile proporla unificata per una lettura nel suo insieme, salvaguardandone il valore integrale.